Contributo al 3° Webinar.

Topologia a bus
Topologia a stella

I due oratori mettono in rilievo i limiti storici della ricostruzione freudiana dei rapporti collettivi, evocando in particolare le nuove tecnologie, ovvero la parte crescente che nella nostra vita assume il virtuale. Ora, il virtuale è una prosecuzione di quello che i Greci chiamavano mimesis, tradotto come imitazione, ma che significava anche simulazione[1].

            In effetti a Freud cento anni fa mancava una figura, un pattern, che solo in seguito avrebbe preso grande rilievo. Questo pattern, o struttura fondamentale, è quello della rete, del network. Eppure fu proprio Freud, nel 1895, nell’Entwurf (Progetto per una psicologia scientifica), in una bozza che non ha mai pubblicato in vita, a descrivere per primo il cervello umano, ovvero la mente, come una rete neurale. Un’idea che qualche anno prima era stata avanzata dal filosofo William James (1890) e che fu di fatto descritta nel 1898 – ovvero, tre anni dopo che Freud aveva scritto il suo Entwurf – da C.S. Sherrington. Se Freud non avesse tenuto quello scritto nel cassetto (fu pubblicato postumo nel 1950), sarebbe potuto entrare nella storia delle neuroscienze come un pioniere, e avrebbe vinto il Nobel in medicina con Sherrington nel 1932… In effetti Freud ha descritto per primo la funzione fondamentale che poi verrà chiamata sinapsi, e che allora chiamò Bahnung (tradotta in inglese in modo maldestro con facilitation). Insomma, Freud pensava l’inconscio già in termini reticolari.

            Oggi tutti pensiamo a internet, ma la struttura reticolare del cervello, come abbiamo detto, fu scoperta molto prima. Ed è davvero singolare che ritroviamo la struttura della rete in qualcosa di così naturale come il cervello, e anche in qualcosa di così eminentemente artificiale come internet. 

            Ragionare in termini di rete significa non cercare più una causalità lineare. E in effetti quando Freud parla di sovradeterminazione, vuol dire proprio questo: che la causalità inconscia è reticolare, non lineare. In una rete non è possibile separare nettamente una causa e un effetto: l’effetto è causa della propria causa, e una causa è anche un proprio effetto…

La figura della rete ha preso il posto della figura che ancora predominava al tempo di Freud giovane, quello della piramide o del cono. La società era vista come una piramide gerarchica, in cima i più ricchi e i più potenti, poi, via via, andando in giù, fino alla plebe pezzente. Tra i vari livelli della piramide c’era poca circolazione. La stessa mente umana era vista in termini di funzioni gerarchiche. L’imporsi della rete come forma dello scambio – di messaggi, di beni, di doni, di parole, di donne nella parentela… – ha cambiato completamente la nostra immagine anche del potere sociale. Chi ha potere, qualsiasi potere – economico, culturale, sessuale, politico, conoscitivo – non è qualcuno che sta in cima, ma è un nodo intenso di scambi di tutte queste cose. Da qui la fortuna di un termine informatico come hub, che è applicato soprattutto agli aeroporti e alle stazioni ferroviarie. Un hub (fulcromozzoelemento centrale) è un concentratore, ovvero un dispositivo di rete che funge da nodo di smistamento dati di una rete di comunicazione dati organizzata con una topologia logica a bus e di topologia fisica a stella[2]. Ha potere chi concentra gli scambi, non solo quelli economici. Anche in filosofia e psicoanalisi: i filosofi e gli psicoanalisti più letti e più citati sono dei veri e propri hubs delle due reti. In ogni campo sociale ci sono hubs: anche tra anarchici, femministe, poeti, cuochi, preti….

            Si dà però il caso che Freud non ricorra all’immagine della rete quando parla delle Massen, dei collettivi. Ma non le vede nemmeno in termini gerarchici, anche se si riferisce a folle molto strutturate come le chiese e gli eserciti. Chiese ed eserciti sono organizzati in modo gerarchico, si tratta quindi di esempi un po’ obsoleti di struttura sociale. I modelli contemporanei di organizzazioni non sono tanto quelli gerarchici, ma aziende come Facebook e Amazon: non producono nulla ma trasportanomettono in connessione.

Comunque, ciò che per Freud è essenziale non è la gerarchia, non è il modello diciamo burocratico, bensì il modello di potere che Max Weber chiamerà carismatico. (Il saggio La politica come professione fu pubblicato nel 1919, quindi in teoria Freud avrebbe potuto leggerlo prima di scrivere Massenpsychologie; ma evidentemente non lo lesse.) Per Weber ci sono tre tipi di poteri: quello su base tradizionale, quello burocratico, e quello carismatico. Freud è interessato al potere carismatico: ovvero a un tipo di relazione eminentemente erotica – nel senso lato di Eros – che viene a stabilirsi tra un Führer, un leader, e i suoi seguaci. E’ qualcosa a metà strada tra il modello piramidale (o conico) e il modello reticolare.

            Altrove[3] ho fatto notare che a Freud manca l’idea che un collettivo si coaguli non solo attorno a qualcuno che si ama – un Führer – ma anche attorno a qualcuno che si odia. L’odio spesso ci identifica, ci unisce, ancor più dell’amore. Anche se diciamo di essere pacifisti, tolleranti, che siamo pronti ad accogliere tutti, di fatto stabiliamo una barriera contro i guerrafondaigli intolleranti, che diventeranno i nemici che ci identificano. Siamo identificati dal nostro essere contro… Ad esempio, siamo intolleranti contro i fascisti proprio in quanto intolleranti. Non tolleriamo una serie di pratiche tradizionali, secolari, che a noi appaiono mostruose: come il sathi in India (la possibilità che aveva la vedova di immolarsi sul rogo del marito morto) oppure le mutilazioni genitali femminili in certe cultore, come l’ablazione del clitoride. In effetti, i britannici proibirono in India il sathi, commisero un atto di intolleranza contro qualcosa che appariva loro intollerante.

            Il successo di internet ha portato nel quotidiano la figura ormai dominante della reticolarità, e quindi della complessità inerente alla rete: in una rete, non ci sono cause prime, tutto circola, anche la causalità. E questo lo vediamo bene nella pratica analitica. Non ha senso dire, ad esempio, che la madre o qualche parente stretto è causa dei disturbi psichici di un analizzante: quale sia la causa prima delle sofferenze psichiche è cosa che ci sarà per sempre preclusa. Non hanno senso le diatribe, anche recenti, per stabilire se alla base delle nevrosi ci sono molestie sessuali o violenze da parte degli adulti sul bambino, oppure se queste molestie e violenze sono fantasie del bambino…. Siccome le cause sono reticolari, non ha senso identificare la cura con la ricerca delle cause dei sintomi… La cura consisterà piuttosto nell’aiutare un soggetto a far circolare diversamente i propri significanti.

            Credo che la circolazione in rete offra anche una soluzione a un concetto fondamentale della psicoanalisi che Lacan ha avuto il merito di evidenziare: quello di Nachträglichkeit, di après-coup. Il fatto cioè che un effetto sembra ritorcersi nel passato divenendo causa di se stesso, per dir così. E’ quel che accade in ogni circolazione in rete. 

            Non a caso credo abbiamo analizzanti che si chiudono in casa e non vogliono uscire più. Che annullano il più possibile gli scambi sociali, riducendoli al minimo indispensabile. Sono coloro che non riescono a sopportare la vera arché – la vera potenza – della nostra epoca: essere plugged, interconnessi. La sconnessione dalla rete, da ogni rete, diventa ciò che oggi consideriamo la più malinconia patologia.

Emerge oggi sempre più – soprattutto da parte delle persone di sinistra – un certo rigetto, che personalmente considero conservatore, se non oscurantista, delle nuove tecnologie del virtuale che si dipanano nelle reti. Bisognerebbe fare un lungo discorso su questo, e non c’è tempo. La virtualizzazione dei rapporti rispetto a ciò che oggi si chiama “in presenza” – come oggi in questo seminario, non in presenza – è accusata di essere una perdita che ci aliena dal contatto autentico con le cose e con gli altri. Ma dopo tutto questa era l’accusa che già alcuni filosofi greci, primo tra tutti Platone, lanciavano contro le due grandi invenzioni tecnologiche dell’Antichità greca: la scrittura fonetica[4] e la tragedia. Quando Platone, attraverso Socrate, scrive per condannare la scrittura, e condanna la tragedia, ovvero il teatro, invenzione allora recente, in quanto era simulazione e non realtà, usa concetti molti simili a quelli della scuola di Francoforte e ai moderni “apocalittici”, come li chiamava Umberto Eco[5]

Ho grande rispetto per Platone, ma la storia ha dato ragione ad Aristotele. Il quale, meno catastrofista del suo maestro, ha inventato un nuovo tipo di scrittura – il trattato – e ha scritto il libro più bello sulla tragedia greca (Poietiké).

Quanto a me, oggi, credo che ci voglia, riguardo alle nuove tecnologie (rete, virtuale) un nuovo Aristotele.

Note:

[1] E’ la traduzione che raccomandava J.-P. Vernant, vedi: “Oedipus without Freud – A Conversation with Jean-Pierre Vernant”, Journal of European Psychoanalysis, N. 3-4, Spring 1996-Winter 1997, pp. 45-54.
http://www.psychomedia.it/jep/number3-4/vernant.htm

[2] Si vedano i due grafi iniziali.

[3] S. Benvenuto, “La massa e gli scarti. Da Freud a Breivik”, L’inconscio. Rivista italiana di filosofia e psicanalisi, 1/11/2020. “Cento anni di ‘Psicologia delle masse e analisi dell’io’, con addendum”, 19 marzo 2021,  https://www.journal-psychoanalysis.eu/cento-anni-di-psicologia-delle-masse-e-analisi-dellio/

[4] Pare che l’alfabeto greco sia stato ereditato da quello dei fenici. Prima, per secoli, le scritture erano essenzialmente ideografiche.

[5] U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964; 1977.